Der fliegende Holländer
Philippe Jordan | ||||||
Coro e Orchestra del Teatro dell`Opera Roma | ||||||
Date/Location
Recording Type
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Daland | Ulrich Dünnebach |
Senta | Sue Patchell |
Erik | Glenn Winslade |
Mary | Mette Ejsing |
Der Steuermann Dalands | Tommaso Randazzo |
Der Holländer | José van Dam |
UN PO’ DI DISORDINE SUL VASCELLO FANTASMA
Con encomiabile felicità di scelta il Teatro dell’ Opera giunge col Vascello fantasma di Wagner (o L’ olandese volante o Der fliegende Hollnder) al secondo appuntamento con l’ opera tedesca. La quale sembra addirsi all’ Orchestra, per la seconda volta apparsa in buone condizioni (anche se non così impegnata come con l’ Elektra). L’ edizione, in lingua originale, era sostenuta da didascalie italiane, onde consentire a tutti la comprensione del testo. C’ è stato anche il miracolo di un pubblico rimasto a applaudire civilmente in sala senza abbandonarsi alla solita fuga verso il guardaroba. Tutto bene, dunque. O quasi. Perché mentre non possiamo che dir bene dell’ esecuzione, altrettanto non possiamo dire dello spettacolo. Il quale parte da un vecchio allestimento di Wieland Wagner, morto trent’ anni fa. Parte, anzi, “da un’ idea di Wieland Wagner”. Non riconosciamo nel rifacimento di Winfried Bauernfeind nessun’ idea riferibile a Wieland, che era stato allievo di Appia e sapeva come allestire Wagner. Nel vecchio allestimento Daland si trovava a terra e vedeva avvicinarsi la spettrale nave dell’ Olandese (come da didascalie d’ autore). Qui è in alto mare, sulla tolda della nave preda della burrasca. Avviene un attracco dolcissimo con la nave dell’ Olandese, nonostante la bufera, e questi passa con tutta facilità sulla nave di Daland. La nave dell’ Olandese più che spettrale è solo brutta, con la chiglia zebrata e trasparente e un’ immensa vela rossa usurata e stravolta da scalette di corda e sartie d’ ogni genere. Wieland proiettava e alludeva, Bauernfeind rappresenta e fa sul serio. Basta per allontanarci da qualunque “idea” di Wieland. Una seconda scena bruttissima, centralizzata (come la prima), ci porta in un filatoio con sette arcolai per parte e molte signore al lavoro. Ignari affatto di arti nautiche e tessili non sapremmo dire se i movimenti dei marinai e delle filatrici abbiano attinenza coi rispettivi mestieri.
Temiano di no; in ogni modo il realismo dei gesti nulla ha a che vedere con l’ astrattezza che da Appia giungeva a Wieland. Con ciò la partenza “da un’ idea di Wieland” si risolve in atto di lesa maestà.
Figuriamoci, con quelle luci, e il fumo finale che invade buca d’ orchestra e platea (ma perché Senta si butta in una solfatara? Quei fumi mica saranno fumi infernali, nulla di dannato potendosi immaginare in una Senta incolpevole affatto), e quei costumi evidentemente rifatti in colori accesi, e quei marinai dell’ Olandese (che non dovrebbero vedersi ma solo sentirsi e qui invece sono non solo visibili, vestiti da loricati e con maschere da “Pianeta delle scimmie”, ma anche impegnati in una ridicola danza). Basta, non scomodiamo Wieland: questo è solo Bauernfeind. Bella, invece, l’ esecuzione musicale. Jeffrey Tate offre un’ esecuzione cameristica, elegante e piena di respiro, pur senza rinunciare ai turgori delle tempeste che il giovane Wagner (Der fliegende Hollnder è la sua prima opera importante, ed è del 1843) già sapeva benissimo come rendere avvincenti. Tate punta sulla malinconia delle situazioni più che non sull’ ineluttabilità o sulla drammaticità, cerca l’ amore più che la tragedia. Ha il vantaggio di avere due interpreti eccellenti. José van Dam è un Olandese magnifico, di una capacità espressiva straordinaria e di una sottigliezza analitica che fa dimenticare le fatali difficoltà in alto. Sue Patchell, anche lei un po’ corta, è una splendida Senta, musicalissima. Non c’ è da stupire se il loro incontro del secondo atto, in un tableau lunghissimo che è anche l’ unico momento buono della regia, sia memorabile. Molto apprezzabile, soprattutto espressivamente, il Daland di Ulrich Dnnebach. Glenn Winslade, Erik, e Mette Ejsing, Mary, sono apprezzabili anche vocalmente. E così Tommaso Randazzo, buonissimo Marinaio. Ottima anche la prestazione del coro preparato da Marcel Seminara.
Michelangelo Zurletti | 26 aprile 1997
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