Se un’inaugurazione di stagione è un evento, quella dello scorso venerdì al Teatro Comunale di Bologna lo è stata in modo particolare, con un’opera imponente, un direttore di lusso e un allestimento scenico prezioso, tenuta a battesimo dal generoso mecenate cittadino Marino Golinelli.
In Tristan und Isolde vi è un’oggettiva minima necessità di azione rispetto alla prolissa scrittura wagneriana: se la regia non può davvero raccontarla, è però un’opera in cui la narrazione è tutta nella musica; e nella lettura superlativa di Juraj Valčuha, che rende l’Orchestra del Teatro Comunale la protagonista indiscussa di questa produzione, essa vive di ampi respiri, di sottili letture dinamiche, di vivaci interpretazioni agogiche. Il livello del cast è alto, con Ann Peterson (risoluta Isolde) e Stefan Vinke (Tristan, il quale però a tratti dà segni di stanchezza vocale) che commuovono. Notevoli il Kurvenal di Martin Gantner e la Brangäne di Ekaterina Gubanova, anche se, tra tutti, spicca il basso dai raffinatissimi mezzi espressivi Albert Dohmen, un Re Marke controllato e ieratico.
Memorabile è l’allestimento di Ralf Pleger con le scene di Alexander Polzin: il regista cerca l’opposto dell’ostentazione di realismo attoriale, mettendo invece in atto un trionfo della scenotecnica. I suoi personaggi sono dettagli di tre distinti mondi onirici e surreali: acquatico, conchiuso quello del primo atto, lunare, extraterrestre il terzo, mentre l’incontro d’amore clandestino che domina il secondo atto è avvolto in un intrico di ramificazioni tentacolari antropomorfe che si dilatano nello spazio. È un’imponente scultura palpitante che amplifica esponenzialmente gli stati emotivi degli amanti wagneriani e ribadisce un invito che il compositore reitera più volte nel suo libretto: amare incondizionatamente e concedersi il completo abbandono all’altro, fidandosi di essere riamati. Pleger ha la capacità di suggestionare lo spettatore con visioni psichedeliche che realizzano quella che per i protagonisti è una trasfigurazione: solo nell’amore infatti raggiungono un’altrimenti mai esperita consapevolezza di sé.
Valentina Anzani | 27 GENNAIO 2020