Lohengrin
Heinrich der Vogler | Wolfgang Probst |
Lohengrin | Francisco Araiza |
Elsa von Brabant | Nadine Secunde |
Friedrich von Telramund | Bent Norup |
Ortrud | Gudrun Volkert |
Der Heerrufer des Königs | Eike Wilm Schulte |
Vier brabantische Edle | ? |
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UN ROMANTICO ‘LOHENGRIN’
Lohengrin entra dentro un mondo di grigia cupezza, chiuso, quasi
una cella o un carcere, dove gli uomini si addentano, si massacrano, si
odiano. La luce che filtra dagli usci aperti, e che lascia indovinare, dietro
quelle porte, un mondo luminoso, il paradiso dell’ amore, della fratellanza
umana, è una luce che accieca, che fa ancora più buia, più disperata la
condizione umana. Questa sembra essere stata l’ idea di Pier Luigi Pizzi,
immaginando le scene, i costumi e la regia del Lohengrin di Wagner. E’
davvero l’ opera romantica finita da Wagner in pieno 1848, in una Germania
e in un’ Europa percorse da incontenibili fremiti di rivolta, è il dramma della
impossibilità di cambiare la storia, di modificare il percorso di violenze e di
sopraffazioni che guida le vicende degli uomini. E’ , forse, l’ opera più
pessimistica, più amara di Wagner. Nel rogo del Crepuscolo degli Dei la
fiamma amorosa di Brunilde, salva il cosmo riconducendolo alla pace dell’
inorganico originario. L’ annientamento che inghiotte, alla fine, Tristano e
Isotta è anche la liberazione definitiva della loro angoscia, il superamento e
perciò la redenzione della sofferenza di vivere. Ma qui, alla corte di Enrico l’
Uccellatore, nessuno sembra disposto a lasciarsi liberare, nessuno è pronto
a essere redento. Questo è il messaggio di Lohengrin: il divieto imposto a
Elsa, di domandare chi sia e di dove venga il cavaliere bianco che la salva e
la sposa, non è un capriccio aristocratico di monaci medievali, come parve a
Nietzsche, ma l’ imposizione di una prova iniziatica, una sorta di esame di
coscienza che l’ umanità deve affrontare per dimostrarsi capace di liberarsi
dalle passioni che la devastano. Elsa, in quel momento, è tutta l’ umanità. Ma
Elsa non regge la prova, l’ umanità non è pronta a lasciarsi liberare. Opera di
stupenda, miracolosa compattezza, di grandissima perfezione formale,
Lohengrin è un grido di disperazione ancora più desolato di quello del
Tristano. In ciò il sottotitolo di opera romantica gli si addice splendidamente:
Lohengrin è davvero la sintesi di tutti gli aneliti romantici, l’ unica opera
davvero quarantottesca di quell’ anno di incendi. E in quest’ idea di tumulti, in
quest’ immagine di fuochi che si accendono, di passioni che travolgono
sembra leggerla Christian Thielemann. Ascoltato a Firenze dirigere con
grande finezza e struggente intensità la Katia Kabanova di Janacek, si
conferma ora un grandissimo interprete, un direttore che presto verrà
conteso dai teatri di tutto il mondo. L’ orchestra del Teatro La Fenice non si è
mai ascoltata così tesa, così intensamente vibrante, Thielemann la scatena
in furori stridenti, la comprime in tensioni estreme, ma anche le chiede
struggenti dolcezze, palpiti delicatissimi, respiri fuggevoli. Tutto diventa
chiaro, giusti i respiri del fraseggiare, dosato perfettamente il rapporto delle
parti nell’ intricato contrappunto orchestrale di Wagner, e ogni colore
strumentale tocca il suo vertice di peso costruttivo, ogni momento della
lettura è il momento in cui qualcosa si rivela, si chiarisce alla memoria. Non
ultimo merito dell’ interpretazione di Thielemann è di far sembrare la sua
lettura di Lohengrin la prima lettura, una prima volta d’ ascolto, come se le
altre volte non si fosse ancora capita bene la bellissima partitura. L’ intuizione
è geniale, la prospettiva dell’ interpretazione travolgente: strappare Lohengrin
all’ aura lirica, contemplativa, in cui si è abituati a leggerlo, e farne uscire fuori
invece tutti i fremiti drammatici, i furori demoniaci, le accensioni romantiche,
farne il punto di arrivo del Fidelio e del Franco Cacciatore più che la
premessa dell’ Anello. Dopo Lohengrin Wagner volta pagina. E’ una lettura
che stimola un diluvio di riflessioni sulla musica di Wagner, che diventa così
davvero il musicista più grande del secolo, quello che chiude il romanticismo
e apre la nuova epoca. L’ idea drammatica di Thielemann è colta
stupendamente da Nadine Secunde, che costruisce il personaggio di Elsa
con straordinaria complessità: non più la donna sognante e fragile, travolta
dalla paura, bensì una donna consapevole che lotta con il dubbio che la
corrode e ne viene distrutta. Accanto a lei, Lohengrin è Francisco Araiza: il
racconto del terzo atto è reso con mirabile e parlante mezzavoce, giunge allo
squillo solo al nome di Parsifal e del proprio. In quell’ arco di misura e di
eleganza è chiuso il senso di una bellissima interpretazione del personaggio.
Splendida, irruenta Ortrud Gudrun Volkert; nero, cupo Telramund Bent
Norup. Squillante, solenne Araldo Eike Wilm Schulte. Sotto le righe invece, l’
Enrico di Heinz Klaus Ecker, quasi senza voce. Ottimi tutti gli altri interpreti
che completano il cast, e buonissimo il coro del teatro integrato dal Coro
Honved Ensemble di Budapest. Al bravissimo Thielemann e a tutti gli
interpreti il pubblico ha decretato giustamente un vero trionfo.
12 giugno 1990